Le parole di Luigi Malerba entrarono in casa mia, o meglio in quella di mia mamma, in una veste alquanto altezzosa e apparendomi rilegate in una preziosa e pregiata edizione in pelle e di colore rosso; con il nome del loro autore, altrettanto notabile, perché inciso sulla copertina in caratteri dorati.

Non erano le parole di Malerba le sole che scoprivo perché in loro compagnia c’erano anche quelle di Dostoevskij e delle sue “Notti bianche” de “La pelle” di Curzio Malaparte,  o quelle di “Ferito a morte” di Raffaele La Capria, insieme a altri stimati scrittori italiani e molti che forse sono e resteranno ancora a me ignoti. L’edizione era presumibilmente di quelle che mia mamma pagava forse a rate, come era d’uso un tempo o forse no: acquistati tutti e in una volta i volumi e per sempre ma non credo che’, mia mamma, e questo lo avrei scoperto negli anni della mia crescita, aveva una predilezione per i pagamenti rateali; tanto in voga negli anni ottanta. Anche se i soldi li aveva, era, come dire, cautezza la sua?

Accanto ai libri acquistati a rate c’erano l’aspirapolvere Folletto, per dirne una, o ancora i prodotti della Stanhome ma forse quelli no, non erano rateizzabili. Comunque quello dei libri di cui mia madre amava tanto ornare gli scaffali delle librerie della casa, era un dono preziosissimo al quale ho fatto ricorso più che spesso: sempre. Del resto per lei erano soprattutto elementi di arredo perché in verità non l’ho mai scoperta intenta a leggerne uno dei tanti.

Oltre a quei numerosissimi volumi tutti in serie e uguali, rivestiti di rossa pelle delle Edizioni Bompiani, c’erano i libroni più grandi e più pesanti per me che bambina ci ficcavo il naso dentro, e erano altrettanto interessanti ma, di più facile approccio essendo libri di fotografie etniche dedicati cioè allo studio delle popolazioni di tutto il mondo. E scoprivo volti tatuati e lobi di orecchie lunghissimi e foratissimi sui quali penzolavano orecchini e collane colorate e insolite. Questi volumi, immagino, venissero regalati come premio per l’aver compiuto una spesa più grande e più ingente di denaro almeno, spesso accadeva così.

E Luigi Malerba lo conobbi un po’ meglio leggendone “Il serpente” o “Il pataffio” riscoprendone adulta le parole ogni qual volta mi recassi per le vacanze estive o invernali da mia mamma. Inconsapevolmente lei, ha concorso a alimentare quella immane curiosità che mi ha sempre spinta verso i libri, ciascun libro potessero i miei occhi incontrare. Ecco una delle tante motivazioni per cui non scelsi di studiare Lettere bensì Giurisprudenza. Avrei finito con il leggere libri imposti e non libri autonomamente scelti e mi sarei ridotta a odiarle quelle letture obbligate come era accaduto con quelle della scuola superiore.

Ma Malerba mi aveva affascinata e stasera, in occasione della presentazione del Meridiano Mondadori dedicato a parte della sua opera, ho potuto riassaporare vecchi ricordi e sensazioni ormai svanite. Sentirne parlare da Ermanno Cavazzoni che ne ha sottolineato la pregnante comicità, importante e determinante come di buona parte della nostra letteratura italiana a partire dal Decamerone o dallo stesso Dante. Quella comicità usata per accelerare i tempi; quell’apparire di Malerba come di un essere “sghembo” qualcuno che ama superare confini e definizioni e rendersi per l’appunto fuori da ogni schema stilistico, come lo ha bene definito Elisabetta Rasy parlandoci di lui come di una persona amica, che intervistò più volte, e che amava il Medioevo e appariva riluttante nei confronti della modernità. Quel Medioevo a misura d’uomo che si sarebbero divisi in due, lui e Umberto Eco, come ci ha poi svelato, a fine serata, Paolo Mauri e quella consapevolezza dell’immanenza di un infinito che lo avrebbe portato a definire la realtà come una pura finzione, ispirandosi più che a un principio di realtà, agli effetti da essa prodotti, secondo quanto scritto da Malerba e lettoci con fervente stupore da Raffaele Manica presente insieme a Andrea Cortellessa il quale, conobbe Malerba in occasione della scrittura di un libro dedicato a Beckett e per il quale lo intervistò.

Le parole di Malerba, nella sua nuova veste sempre sì di pelle ma stavolta blu e non rossa perché contenute nel Meridiano Mondadori, continueranno a accompagnarmi insieme a un altro importante libro a lui dedicato ma che comprai autonomamente perché adulta e che perciò appare fra i libri della mia personale libreria: “Parole al vento” edito Manni Editori, curato da Giovanna, sua figlia e che avevo dimenticato di possedere.

Da “Parole al vento” leggo qualcosa di quanto mai attuale e necessario gridare a ogni intellettuale contemporaneo: “Personalmente penso che uno scrittore deve stare sempre all’opposizione: nel senso di contribuire alla coscienza critica della società nella quale vive […] Lo scrittore proprio perché non viene quasi mai ammesso negli organismi del potere, può esercitare con assoluta libertà e indipendenza le sue capacità di persuasione. Purtroppo è successo troppe volte che, nei momenti in cui sarebbe più utile il suo intervento, lo scrittore si defila e tace o, peggio ancora, si schiera con i più forti. L’individuo può essere vile ma la cosa più importante è che il conformismo o la viltà non guastino la sua opera. Gadda era un uomo pavido e politicamente reazionario, ma nei suoi libri era straordinariamente coraggioso, perfino violento. Ed è questo che conta. Ezra Pound e Céline hanno assunto in politica atteggiamenti riprovevoli, ma vanno giudicati come scrittori.”

Insomma i libri sono incontri che fai senza ricercarli, incontri che dischiudono meraviglia e stupore, incontri che ti aprono porte e accendono realtà, incontri, come quello di stasera, conclusosi con un altrettanto e inaspettata sorpresa: salire sull’autobus e ricevere un accogliente buonasera dall’autista. E non così perché proprio e solo con me, e proprio in quell’istante lì, in piazza di Torre Argentina gli andava; no, perché lui, l’autista ha salutato ognuno dei passeggeri che dalla mia salita in poi si è succeduto entrando dalla porta accanto al suo sedile dal quale ha detto a ognuno ripetendolo senza stancarsene: buonasera buonasera buonasera. E infine, meraviglia delle meraviglie, vedere un passeggero scendere appositamente dalla porta anteriore accanto all’autista, per dirgli: buonasera e grazie della sua educazione!

Sono restata sbalordita dall’inizio al termine del viaggio, non trovate sia stupefacente?

E che dire ancora dell’insolito incontro fatto dopo, al mio rientro a San Lorenzo, al Carrefour che resta aperto ininterrottamente anche di notte, con due giovani uomini arabi che già da un po’ avevo notato fermi davanti all’angolo degli ortaggi prima e della marmellata dopo, a deciderne insieme  il gusto e quindi fermi a fare la fila prima delle casse. Che dire di loro che continuavo a guardare con la coda dell’occhio ricordandomi della mia borsa priva di cerniera, pronta a accertarmi che il portafoglio ci fosse ancora, che dire; che direste voi se vedeste che, a un certo punto, uno dei due pronto a pagare i suoi prodotti, fa un gesto alla ragazzina che lo succede di passargli tutto ciò che lei regge a stento fra le mani, perché ha deciso che glielo pagherà?

E la ragazzina romana acconsente, mentre il fratellino sbarbatello con la pettinatura com’è di moda ora, dal ciuffo all’indietro leccato di gel, rasato dalle tempie alla nuca e con al lobo l’orecchino a punta di diamante, se la ride nascostamente, aggrappandosi al braccio di lei, felice come una pasqua.

Grazie Luigi Malerba e soprattutto grazie alle sue splendide donne: Anna Lapenna e Giovanna Bonardi!

Rossella Pompeo  Roma, il 26 Aprile, 2017

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